Autore: Edoardo Vaccaro
Credo che ormai tutte e tutti abbiamo avuto modo di vedere e commentare quanto successo alla cerimonia degli Oscar fra Chris Rock, Jada Pinkett e Will Smith.Passato il primo momento, penso sia utile fare una riflessione e analisi a freddo, pulita dalle reazioni emotive istantanee.
Vorrei aggiungere un punto di vista maschile, da parte di chi si occupa di lavorare con il maschile, sul maschile e sulla violenza di genere.
Potrebbe sorgere una domanda: ma è necessario scomodare la violenza di genere anche per un episodio di questo tipo? D’altra parte non è stato “solo” un ceffone dato da un uomo ad un altro uomo? Non è “normale” una reazione di questo tipo? D’altra parte ha mancato di rispetto alla mia famiglia e quindi anche a me. La mia risposta è sì, è utile parlarne, in quanto, come evidenziato a breve, in questa situazione gli attori sono uomini (confermando che la maggior parte della violenza è agita da noi) ed è stata coinvolta anche una donna. Le dinamiche presenti sono almeno alla base, quando non espressione diretta, della violenza di genere.
Come prima cosa è utile esplicitare le persone coinvolte. La maggior parte dei commenti che ho incontrato hanno riguardato esclusivamente i due uomini presenti, dimenticando una terza parte fondamentale coinvolta: Jada Pinkett.
Di conseguenza, da un punto di vista delle relazioni non è più una sola quella in evidenza (fra Chris Rock e Will Smith) ma sono tre. Vi propongo quindi di vedere assieme le diverse dinamiche.
Parto dalla relazione fra Chris e Jada.
È necessario, ancora oggi, fare una battuta sull’aspetto fisico? In particolare quello di una donna? Sappiamo che gli stereotipi prevedono per le donne di essere sempre attraenti e “perfette”. A riguardo vi invito a cercare e leggere anche i post scritti da pagine femministe che possono descrivere meglio di me quale possa essere stato il vissuto di lei.
Ma quindi non posso scherzare sull’aspetto fisico? Sì che posso, se questo è il mio corpo e il mio aspetto e sul quale ho certamente diritto di parola. E spero anche un sufficiente livello di coscienza di cosa significa per me e per persone con situazioni simili alle mie.
Fare body shaming è facile quando non sono coinvolto.
Che alternative avrebbe avuto quindi? Beh, molte direi, cominciando appunto da scherzare sulle proprie esperienze invece che su quelle di altre persone.
Passo poi alla relazione fra Will e Jada.
Ci sono diverse cose che possono dare spunti di riflessione.
Primo, è lei “mia” moglie o posso anche dire che io sono suo marito? È possibile rivedere il concetto di proprietà associata alle relazioni affettive e familiari? È possibile rivedere i termini in cui parliamo e facciamo esperienza delle relazioni significative?
Secondo, come facciamo a distinguere quando “difendo” una persona a me cara da quando “difendo” me (ad esempio il mio orgoglio, il mio senso di possesso)? Se insistiamo sulla prima, una riflessione che mi viene è trasformare la difesa della persona cara in cura della persona cara. Dove per cura intendo l’accezione vicina al termine inglese “care”, dove non c’è la malattia ma il desiderio di prestare attenzione alle esigenze della persona accanto a me.
Anche in questo caso, credo che sia importante e interessante farsi alcune domande. Cosa ha stimolato in me (Will) la battuta? Di cosa ha bisogno Jada in questo momento? E quello che emerge potrebbero essere risposte molto diverse fra di loro. Soprattutto se non do per scontata la risposta alla seconda domanda, pensando che le esigenze siano le stesse fra due persone diverse.
Ora, io non so quali esigenze avesse Jada, ma il punto è proprio che Will è passato all’azione senza interpellare lei, che era in quel momento la destinataria della battuta.
È ancora necessario quindi che un uomo intervenga per conto di una donna? La risposta per me è no, ma se si sente la necessità di intervenire almeno il gesto può essere reso un gesto utile. Cosa potrebbe servire? Beh, essere di supporto, alleati, sfruttando il proprio potere e visibilità per dare voce a chi magari non ce l’ha. A volte anche il solo chiedere può fare la differenza.
Infine passo alla relazione fra Will e Chris.
Le prime cose per me evidenti sono l’escalation, l’uso della violenza, il voler mettere a tacere l’altro, il non prendersi la responsabilità di quanto si dice o si fa.
E mi riaggancio ora al titolo: l’occasione persa. Potevano esserci molte alternative a quanto accaduto e invece siamo ancora qui a prenderci a ceffoni in faccia. Cosa poteva fare Will nel concreto (oltre a quanto già detto precedentemente)? In questo caso per me l’intervento sarebbe stato lecito se ci fosse stata la volontà di fornire un esempio (un modello maschile) diverso, non stereotipato, non testosteronico, non di potere usato per prevaricare, un modello assertivo, consapevole di sé e delle persone che ti stanno attorno e con una proposta concreta. Come? Ad esempio esplicitando che a te quella battuta tocca perché riguarda una persona a te cara andando a coinvolgerla su problemi personali. Affermando che sei dispiaciuto e arrabbiato. Che avresti avuto maggiore stima della persona sul palco se avesse messo in discussione la propria scelta nel fare la battuta.
Alla fine Will ha fatto le sue scuse, condannando la violenza. Ma ormai la sola condanna della violenza non è sufficiente. È necessario che gli uomini comincino a problematizzare la violenza in prima persona, ritenendosi responsabili dei comportamenti di altri uomini. Attenzione, a chi mi dice “non tutti gli uomini” rispondo: responsabili e non per forza colpevoli – e se vi sentite pure in colpa fatevi due domande. E la responsabilizzazione passa anche nel mettersi in discussione e nel cercare nuovi esempi e modi di relazionarsi.
Chiudo invitandovi ad andare a vedere in video come cambiano le espressioni sul volto di Jada subito dopo la battuta ricevuta.
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